mercoledì 22 giugno 2016

Racconti fattuali risorgimentali: La contessa di Castiglione, Traviata a Cuneo



Era da più di un mese che la voce girava in città. La compagnia dell’impresario Vittorio Erba avrebbe rappresentato al Teatro Toselli per il giovedì grasso del 1861, l’ultima opera del m° Giuseppe Verdi: La Traviata.

Opera di per sé audace per non dire pruriginosa, ma se poi – come si diceva – la protagonista sarebbe stata Virginia Oldoini Contessa di Castiglione, il fatto aveva tutto l’aspetto di uno scandalo.

 La Contessa – lo sapevano tutti - era stata inviata dal cugino ruffiano Camillo Benso conte di Cavour nel letto di Napoleone III dopo che anche Vittorio Emanuele se l’era spassata con lei, e ciò per indurre l’imperatore, affamato di sesso, ad appoggiare la guerra del Piemonte contro l’Austria.

         Appunto, lo scandalo – come diceva il Vice Sindaco e direttore dell’Ospedale S.Croce, dott. Pietro Delfino – sarebbe successo quando dalle Terme di Valdieri, dove era appena arrivato con la regina Margherita e tutta la Corte, sarebbe venuto alla prima rappresentazione proprio Vittorio Emanuele II, appena proclamato Re d’Italia.

Cosa avrebbero detto le “nostre signore” si preoccupava Delfino. Una “traviata” (oggi si direbbe escort) nella vita e una Traviata in teatro: ma allora il “Toselli” diventerà un “casino”.

Le signore bene di Cuneo si radunavano il martedì pomeriggio nel salotto di madama Tisbe Soleri, la moglie dell’onorevole Marcello. Il salone si affacciava sulla grande piazza Vittorio che diventava tutta gialla quando vi era il grande mercato dei “coquet”, i bozzoli da seta. Anche lì l’argomento del giorno era la rappresentazione della Traviata con quella interprete: che gli uomini siano sporcaccioni, anche i loro mariti, passi. Qualcuna lo sapeva anche per esperienza diretta con il marito dell’amica e poi c’era il “casino” di via Chiusa Pesio, frequentatissimo. Ma che dovessero andare tutte a teatro ad applaudire la “puttana” proprio non andava loro giù!

Ed invece c’erano tutte la sera del 18 Marzo 1861.

      La contessa arrivò puntuale all’Albergo Barra di Ferro, da sola, ma il direttore le aveva assicurato: “A teatro troverà una cameriera addetta solo a Lei. E’ un po’ fantasiosa ma molto pulita e diligente.” 

All’albergo erano già giunti il tenore Francesco Tamagno e il baritono Titta Ruffo. Il direttore che veniva da Torino sempre accompagnato dalla sua mamma: si chiamava Mario Braggio.

Era il massimo che l’impresario Erba potesse offrire a Cuneo.

Sulle rappresentazioni delle opere liriche in provincia bisognerebbe stendere un velo pietoso, ma tenuto conto che allora il teatro lirico e di prosa era l’unica forma di spettacolo, si capisce perché le rappresentazioni fossero così attese e frequentate. Intanto la capienza del teatro Toselli era meno di quella attuale: circa 400 posti tra platea, galleria e loggione, poi una ventina di palchi. Un piccolo teatro che diventava strapieno ad ogni spettacolo.  La c.d. fossa orchestrale poteva contenere, a contatto di gomiti, una quarantina di “professori d’orchestra”. 

Primo violino era il m° Oscar Chiocchio con a spalla la moglie Eulalia, espansiva e bionda. Mi ricordo la viola Giovanni Mosca, e tra i violini l’orologiaio Bottacini, il parrucchiere Fantino, il trombettista Nini Rosso, ed alle percussioni il compositore locale Paolo Tarditi. Gli altri musicisti venivano per l’occasione da Torino come il direttore m° Mario Braggio. Era questo un autentico talento che conosceva a memoria un vasto repertorio  che portava in giro per tutto il Piemonte e riusciva a realizzare con qualsiasi orchestra, con qualsiasi compagnia di cantanti, in qualsiasi teatro grande e piccolo che fosse. E tutto ciò perché teneva in pugno tutto lo spettacolo: vederlo dirigere mi affascinava perché con gli occhi, con le spalle. con le mani, con le dita , con tutto il corpo dava gli attacchi agli strumenti ed ai cantanti, imponeva il ritmo, cantava la melodia, insomma conduceva l’opera come si fa con le marionette sorrette dal filo.

      Io assistevo alle prove seduto nel buio della platea fin dal primo giorno, e mi godevo lo spettacolo della contessa che non sapeva la parte, di Braggio che la rimproverava, e di Tamagno, un omaccione che cantava Alfredo come se fosse Otello.

Quando la contessa giunse a teatro c’era il direttore ad attenderla e vicino a lui una piccola insignificante creatura che le presentò: Carolina Invernizio. Carolina era incantata dalla contessa: non faceva che lodarne la pettinatura che raccoglieva, in una corolla, una massa di lunghi capelli dorati, il vestito di mussola perlacea, quella spilla tempestata di diamanti: “dono dell’Imperatore, vero?”

Carolina fremeva dal desiderio di sapere: nella sua fantasia aveva già collocato la Contessa nella trama di un suo prossimo romanzo. Veramente il titolo che aveva in testa -“Il bacio della morta”– era difficile da accostare alla vitalità della Contessa: 

“Cuntëssa ma cuma l’era Napoleun”

“ ‘N bel’om, nen aut ma bin fait, j’üi neir”.

La Contessa proseguì: “la sala l’era tüta tapisà d’vlu verd e cun tanta lüs”

“Accendiamo l’abatjour?” – a dis Napoleun”

“Cosa l’è l’abatjour” chiede Carolina,

“ün lum stermà”

“Si accomodi sul canapè”

“cosa l’è ‘l canapè”

“ ’l canapè l’è ün let”

“vuole una coppa di champagne”

“cosa ca l’è lo champagne”

“una gasoseta, ma buna, propi buna”

“e pöi, e pöi” 

“’am dis: toccami, toccami lì”

“e chila…”

“l’hai tucalu, ma lera mol, mol”

“e alura”

“l’hai fait cosa l’hai pudu”

“L’dì dop l’ha co mandame le röse, tante röse cun ’n bièt cun scrit: “Viva l’Italia”. L’hai scrivugliu a Cavour e chiel l’era tüt cuntent ma pusava, pusava….[1]

Ed allora, una sera quando a Napo finalmente venne “la resurrezione della carne”, gli dissi: “io do una cosa a te e tu dai una cosa a me.”

E Napoleone III, impaziente, giurò che va bene avrebbe cacciato gli austriaci dalla Lombardia e dal Veneto. Mantenne la promessa e come raccontava il mio amico Riccardo Pazzaglia: “le prestazioni della contessa vennero pagate dal popolo francese con dodicimila morti (battaglia di Solferino – 24 giugno 1859)”.

Dopo l’armistizio di Villafranca la contessa di Castiglione battè in ritirata anche lei.

            Ma era proprio bella quando andò in scena a Cuneo: “una statua di carne” come l’aveva chiamata la Contessa di Metternich non meno invidiosa delle madame cuneesi tutte affacciate dai palchi del Toselli, sfavillante di luci. E nel palco c.d. reale, in realtà normalmente occupato dal Sindaco Carlo Brunet (l’inventore della grande piazza) e dai suoi ospiti, quella sera c’era proprio il Re.

            Re Vittorio era sceso dalle Terme di Valdieri dove andava ogni anno per le sue irrinunciabili battute di caccia,  in carrozza. La strada era piena di buche. Il padrone delle Terme non era ancora l’amico comm. Agostino Bonetto. Re Vittorio l’aveva già sperimentata l’anno scorso e si era lamentato. Appena giunto a Cuneo aveva fatto chiamare l’ing. Angelo Valmaggia, ingegnere capo della Amministrazione Provinciale e glielo aveva detto a brutto muso. L’altro aveva tentato debolmente di difendersi dicendo che dalla carrozza era difficile valutare lo stato delle strade. Al che Vittorio gli aveva risposto: “Lo stato delle strade non si valuta con gli occhi, ma col culo.”

      Sarà per il culo dolorante o per le braghe troppo strette il Re si alzava spesso il piedi nel piccolo palco del Toselli ed i cuneesi convinti che così si facesse a Roma, ogni volta che il Re si alzava si alzavano anche loro. La manfrina andò avanti per un bel po’ di volte e poi incominciò lo spettacolo e nel buio che calò nella sala, Vittorio potè finalmente slacciarsi le braghe.

      Nel palco VIII c’era un signore molto distinto con gli occhialini senza montatura quelli che si mettono sul tavolino delle case destinate ad essere conservate come museo dei proprietari diventati personaggi storici, e tale era destinato a diventare quel distinto signore: era Silvio Pellico.  Non le toglieva gli occhi di dosso anzi con l’aiuto del binoccolo le entrava letteralmente dentro il generoso decolletè. Gliel’aveva detto il cugino Costantino Nigra: c’è un signore che è pazzo di te, guarda nel palco VIII. Lei guardò ed al termine dello spettacolo ai suoi piedi fu portata una corbeille di 50 rose rosse e la platea, già tutta in piedi a battere le mani, uscì in un uhu di meraviglia.

Per il dopo teatro era previsto un ricevimento al “Circolo Sociale” di Via Roma.[2]

Era questo il centro della vita mondana cittadina concepito come un luogo ove gli ufficialetti della guarnigione (e Cuneo per la sua posizione di confine con la Francia era sempre stata città di grossa guarnigione di militari) potessero incontrare le ragazze di buona famiglia: in effetti matrimoni ve ne furono molti ma anche qualche intervento ginecologico. Era uno spettacolo vedere tanta gioventù scintillare sotto lo sguardo compiaciuto dei genitori schierati sui lunghi divani disposti tutti intorno all’ampio salone. Apparivano tutti pudichi ma i pensieri –io lo sapevo – erano quelli dipinti sul soffitto: belle fanciulle dalla poppe nude avvinte da satiri rampanti. Quella sera poi presente il Re galantuomo e rampante, e la “Traviata” Contessa di Castiglione, l’atmosfera era caldissima, appunto in tutti i sensi.

 Si beveva champagne e si ballavano valzer e quadriglie al suono dell’Orchestra del m° Oscar Chioccio e di sua moglie Eulalia rapidamente trasferitisi dalla fossa orchestrale del Toselli alla pedana del Circolo Sociale.

Nella “sala di lettura” c’erano i patrioti meridionali che giunti esuli anche a Cuneo, ora che l’Italia era “una ed indivisibile”, hic manebunt optime. Ma il cuore era ancora là, nella terra dove nascono i limoni, con il ricordo dello sfortunato patriota Carlo Pisacane, quello de’ “La spigolatrice di Sapri”. E ogni volta che veniva recitato il ritornello: “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”, non potevano fare a meno di correre con la destra verso il posto adatto per fare quello scongiuro che in latino maccheronico, chiamavano la “grattazio pallarum”. (Non est pregiudizio sed scongiurazio diceva il mio amico Renato Pazzaglia).

 Quando entrò la Contessa di Castiglione saltarono tutti in piedi: “Viva l’Italia unita”. E lei “Sì sì ma viva anche Napoleone” ed intanto, si sollevava i grandi seni, adesso un po’ a mezz’asta, e si dava pacche sulle cosce e sulle anche opulente, dicendo “anche questa è diplomazia” e qualcuno pensò “grazie mamma!”.

Poi sparì e nell’altra sala finalmente Silvio Pellico incontrò Virginia Oldoini Contessa di Castiglione e cosa successe non si è mai saputo tanto che oggi sono molti a pensare che non sia vero nulla, e Cuneo, come tutte le province d’Italia, le “traviate” le abbia avute più nella vita che sul palcoscenico. 

                                  

Tetto de’ Chivalieri, ottobre 2010  



[1] “Contessa ma come era Napoleone?” – “Un bell’uomo, non alto ma ben fatto, gli occhi neri” “ La sala era tutta tappezzata di velluto verde e con tanta luce – “accediamo l’abatjour?” dice Napoleone  - “cosa è l’abatjour” – “ma una lampada nascosta” – “si accomodi sul canapé” – “ma cosa è il canapé” – “ma un letto” – “Gradisce una coppa di champagne” – “ma cos’è lo champagne” – “ma una gazoseta, ma buona proprio buona” –“e poi, e poi” - “mi dice: toccami, toccami lì” – “e tu”... “l’ho toccato, ma era molle, molle” – “e allora” – “ho fatto quel che potevo” - “il giorno dopo mi ha anche mandato le rose, tante rose e un biglietto con scritto: “Viva l’Italia”. “l’ho scritto a Cavour e lui era tutto contento ma spingeva, spingeva…”.   

[2]  Attuale sede del Conservatorio Musicale “G.F.Ghedini”.


 

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