mercoledì 22 giugno 2016

Racconti fattuali risorgimentali: Il barolo del Conte di Cavour


Nel salone d’onore del Municipio di Cuneo, sopra il gran camino, ormai definitivamente spento, c’è una grossa lapide che recita: “CARLO BRUNET – GIACINTO CASTELLANI --- Creduta impossibile, a noi desiderio più che speranza, qui se pur giunse la ferrovia, incolumi l’erario civico e provinciale, al senno all’opera è dovuto di due esimi cittadini. Azioni di grazie votavano i comizi della provincia a ricordarne i nomi. Questo marmo scolpiva CUNEO riconoscente – Delib. 22 Marzo 1853 – Città di Cuneo”. L’arrivo a Cuneo della ferrovia doveva essere degnamente celebrato e un comitato era all’opera da tempo. Stava stilando la lista degli invitati all’inaugurazione, scegliendoli tra i più illustri piemontesi, quando il sen. Giuseppe Fassino propose “invitiamo Cavour”.
E Cavour venne a Cuneo. Lo andò a prendere alla stazione vicino al Gesso, quella che oggi è chiamata “stazione vecchia” il sindaco comm. avv. Angelo Fabre, e il suo successore cav. Carlo Brunet quello della lapide. All’arrivo della fumante locomotiva, simile a quella scolpita sulla lapide, Cavour disse brevi parole: egli si occupava fin da giovane delle ferrovie  (nelle quali aveva investito dei capitali, investimenti riguardanti più le ferrovie francesi che quelle italiane, ma questo non lo disse). Disse che una rete ferroviaria nella penisola era di ancora più immediata importanza per porre fine alle tendenze autonomiste delle città e delle regioni d’Italia. Era proprio quello che avevano realizzato i cuneesi e lui era lì per lodarli e invitarli ad andare oltre, in una visione dell’Italia più unita e solidale. Applausi! Ma si sentì anche un incomprensibile brontolio: era il rappresentante di Paesana, della Lega (si diceva che fosse una “trota” di Bossi) che protestava contro l’unità d’Italia. Ma allora la Lega contava poco, fu ignorato. Si formò quindi un corteo di autorità e popolo e tutti salirono fino al Comune,  a piedi.

       Il fatto diede luogo, come sempre ai più svariati commenti che volsero al peggio quando si seppe che con l’occasione Cavour avrebbe presentato il vino barolo prodotto nella sua tenuta di Grinzane, al Circolo ‘l Caprissi.

   Nelle riunioni presso il Comizio Agrario agricoltori e commercianti protestavano. “Viene a cacciare il naso anche a Cuneo questo nobiluccio fallito come cortigiano e fallito come militare? Va bene che – per merito di suo padre Michele - è anche sindaco di Grinzane, vicino ad Alba, ma Grinzane ha 350 abitanti e Cavour tiene il consiglio comunale nelle sua camera da letto. Noi cuneesi cosa abbiamo da imparare da questo langhetto?”. Che fosse anche diventato primo ministro a Torino, non importava nulla: i cuneesi ragionano sempre  con quanto  conoscono di persona.

In effetti, tra Alba e Cuneo c’è sempre stata rivalità frutto di una diversa pasta umana. Quella dei cuneesi forgiata dall’aridità del suo territorio montagnoso e quella degli albesi frutto della ricchezza della loro terra produttrice d’uva e tartufi.  Il rapporto dei cuneesi con il vino è ben rappresentato dall’esistenza del mercato delle uve, quel triangolo la in basso vicino al ponte sul Gesso ed alla stazione “vecchia”. Là arrivavano da Alba e dintorni i carri che portavano l’uva dolcetto ed i parsimoniosi cuneesi se l’andavano a comprare, se la portavano a casa, se la pigiavano nel torchio e la lasciano fermentare nei grossi tini. Che vino ne venisse fuori non ricordo, anche perché sono astemio.

Certo per trasformare l’uva in vero vino ed i tartufi in sonanti marenghi – magari da giocarsi nella camera appartata della trattoria del paese – bisognava  lavorare di braccia e di testa.  Era con questa che Cavour lavorava quando faceva i suoi viaggi in Inghilterra, in Svizzera e soprattutto in Francia. Era da lì che aveva fatto arrivare un “enologo”. Da questo connubio tra duro lavoro sul tufo e la “scienza” alimentare è nata la moderna trionfante economia di Alba e della Langa, quella dei  produttori Ferrero e Ceretto e, con le opportune varianti commerciali, quella dei Petrini e dei Farinetti. 

Intanto a Cuneo i montanari, stremati dalla fatica, scendevano alla fabbrica altrui e i borghesi a Cuneo  risparmiavano, in silenzio, come in chiesa. Da questo risparmio è nata la moderna edilizia di Cuneo e dintorni, prima, nel dopoguerra quella dell’arch. Albino Arnaud, e poi quella del Marmorino e dell’arch. Umberto Fino.

Questo lo scrivo oggi perché lo vivo, ma prima, prima era sempre stato così?

Cavour al Circolo l’Caprissi parlò ad un’altra Cuneo a quel Piemonte che stava diventando Italia.

In prima fila c’era Gioacchino Massia detto il “Cirio di Cuneo”. Era questo un personaggio leggendario. La sua attività cominciata dal niente erasi rivolta alla coltivazione dei bachi da seta ed alla trattazione dei bozzoli, avendo anche perciò promosso l’esercizio di una reputata filanda alle Basse di Sant’Anna, nonché all’esportazione della castagne, ch’egli seppe introdurre in lontanissime piazze europee ed americane. Però si può dire che non siavi stato ramo d’azienda commerciale relativa all’agricoltura, ch’Egli non abbia coltivato, quasi sempre con felice successo. Così s’era Egli creata – colla stima e colla simpatia pel modo serio e corretto di trattare gli affari – una grande popolarità fra i contadini, fra i montanari accorrenti sulla nostra grande piazza Vittorio, i quali parlavano di “Barba.rossa” con affettuosa deferenza e ne consideravano la comparsa (senza la quale non si poteva aprire il mercato) come quella di un amico più che d’uno speculatore, ben sapendo che il Massia fosse sempre equo, ragionevole, nelle offerte, nelle proposte. [1]

C’erano anche i suoi due figli Giovanni e Vittorio Massia che dopo la Sua improvvisa morte continuarono a fondare e gestire filande, a spedire le castagne in America, a determinare il prezzo dei “coquet” (i rocchetti naturali tessuti dai bachi da seta) presentandosi alle sei di ogni venerdì mattina quando la bandiera che veniva esposta in p.zza Vittorio per dare inizio al mercato, attendeva,  per concordia generale, il loro arrivo. Mi piace pensare questo alzabandiera dinanzi allo schieramento pacifico dei cestoni pieni di bozzoli gialli, tanti e tanti da trasformare la grande  piazza in un campo giallo come il sole.

      E oltre ai Massia vi era il geom. Antonio Sartoris, il più votato nelle ultime elezioni, progettista della Cuneo liberty che si stava costruendo in Corso Nizza, quello che aveva realizzato in soli 9 mesi, per conto della Cassa di Risparmio di Cuneo e su suo progetto donato alla Società operaia, il Palazzo delle Istituzioni Popolari, lungi dall’immaginare che negli anni ’30 potesse divenire la Casa del Fascio. Vi era il geom. Amedeo Galliano quello che aveva realizzato in Viale degli Angeli la palazzina con in cima la rotonda e i paffuti angioletti sulla facciata. Vi era il sen. Tancredi Galimberti il fondatore/editore del quotidiano di Cuneo, “la Sentinella delle Alpi”, ed il suo direttore Nicolò Vineis, l’on.le Ministro Marcello Soleri, devoto amico di Giovanni Giolitti.

      Vi era il prof. Eugenio Delfino, primario dell’Ospedale civico S.Croce, allievo del prof. A.Carle, successore nello stesso ospedale di suo padre dott. Pietro Delfino, già vicesindaco della città, esempio del dovere di contribuire all’amministrazione della città che allora la borghesia illuminata sentiva. A tal proposito un borghese illuminato qual era l’avv. Dante Livio Bianco aveva mandato un telegramma di partecipazione perché lontano.  

      Vi era il socialista dott. Serafino Arnaud, “il medico dei poveri”.

      E vi erano anche le donne: la combattiva Angela Ascheri ved. Ramorino, la madre dei fratelli garibaldini Paolo e Giuseppe Ramorino; la colta moglie del sen. Tancredi Galimberti, la sig.ra Alice Schanzer, la sig.ra Tisbe Soleri moglie del Ministro, ed anche la clericale sig.na Rita Massia.

Dinanzi a questo parterre della antica, nobile Cuneo, Cavour parlò da buon politico barcamenandosi tra il bastone e la carota, ma le cose belle che disse erano già nell’Italia che aveva dinanzi a sé: senza nulla chiedere i cuneesi le avevano e le avrebbero fatte. 

      Quando finì tra scroscianti applausi, bevvero tutti il generoso barolo del Conte e lui si appartò in una sala, a giocare a carte.



Tetto de’ Chivalieri, settembre 2010        


[1]  Sentinella delle Alpi di Cuneo (n. 6 martedì  9 gennaio 1906)


 

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