Nel salone d’onore del Municipio di Cuneo, sopra il gran camino, ormai definitivamente spento, c’è una grossa lapide che recita: “CARLO BRUNET – GIACINTO CASTELLANI --- Creduta impossibile, a noi desiderio più che speranza, qui se pur giunse la ferrovia, incolumi l’erario civico e provinciale, al senno all’opera è dovuto di due esimi cittadini. Azioni di grazie votavano i comizi della provincia a ricordarne i nomi. Questo marmo scolpiva CUNEO riconoscente – Delib. 22 Marzo 1853 – Città di Cuneo”. L’arrivo a Cuneo della ferrovia doveva essere degnamente celebrato e un comitato era all’opera da tempo. Stava stilando la lista degli invitati all’inaugurazione, scegliendoli tra i più illustri piemontesi, quando il sen. Giuseppe Fassino propose “invitiamo Cavour”.
E Cavour venne a Cuneo. Lo andò a prendere alla stazione
vicino al Gesso, quella che oggi è chiamata “stazione vecchia” il sindaco comm.
avv. Angelo Fabre, e il suo successore cav. Carlo Brunet quello della lapide.
All’arrivo della fumante locomotiva, simile a quella scolpita sulla lapide,
Cavour disse brevi parole: egli si occupava fin da giovane delle ferrovie
(nelle quali aveva investito dei capitali, investimenti riguardanti più le
ferrovie francesi che quelle italiane, ma questo non lo disse). Disse che una
rete ferroviaria nella penisola era di ancora più immediata importanza per
porre fine alle tendenze autonomiste delle città e delle regioni d’Italia. Era
proprio quello che avevano realizzato i cuneesi e lui era lì per lodarli e
invitarli ad andare oltre, in una visione dell’Italia più unita e solidale.
Applausi! Ma si sentì anche un incomprensibile brontolio: era il rappresentante
di Paesana, della Lega (si diceva che fosse una “trota” di Bossi) che
protestava contro l’unità d’Italia. Ma allora la Lega contava poco, fu
ignorato. Si formò quindi un corteo di autorità e popolo e tutti salirono fino
al Comune, a piedi.
Il fatto diede luogo, come sempre ai più svariati commenti che volsero al
peggio quando si seppe che con l’occasione Cavour avrebbe presentato il vino
barolo prodotto nella sua tenuta di Grinzane, al Circolo ‘l Caprissi.
Nelle riunioni presso il Comizio Agrario agricoltori e commercianti
protestavano. “Viene a cacciare il naso anche a Cuneo questo nobiluccio fallito
come cortigiano e fallito come militare? Va bene che – per merito di suo padre
Michele - è anche sindaco di Grinzane, vicino ad Alba, ma Grinzane ha 350
abitanti e Cavour tiene il consiglio comunale nelle sua camera da letto. Noi
cuneesi cosa abbiamo da imparare da questo langhetto?”. Che fosse anche
diventato primo ministro a Torino, non importava nulla: i cuneesi ragionano
sempre con quanto conoscono di persona.
In effetti, tra Alba e Cuneo c’è sempre stata rivalità
frutto di una diversa pasta umana. Quella dei cuneesi forgiata dall’aridità del
suo territorio montagnoso e quella degli albesi frutto della ricchezza della
loro terra produttrice d’uva e tartufi. Il rapporto dei cuneesi con il
vino è ben rappresentato dall’esistenza del mercato delle uve, quel triangolo
la in basso vicino al ponte sul Gesso ed alla stazione “vecchia”. Là arrivavano
da Alba e dintorni i carri che portavano l’uva dolcetto ed i parsimoniosi
cuneesi se l’andavano a comprare, se la portavano a casa, se la pigiavano nel
torchio e la lasciano fermentare nei grossi tini. Che vino ne venisse fuori non
ricordo, anche perché sono astemio.
Certo
per trasformare l’uva in vero vino ed i tartufi in sonanti marenghi – magari da
giocarsi nella camera appartata della trattoria del paese – bisognava
lavorare di braccia e di testa. Era con questa che Cavour lavorava quando
faceva i suoi viaggi in Inghilterra, in Svizzera e soprattutto in Francia. Era
da lì che aveva fatto arrivare un “enologo”. Da questo connubio tra duro lavoro
sul tufo e la “scienza” alimentare è nata la moderna trionfante economia di
Alba e della Langa, quella dei produttori Ferrero e Ceretto e, con le
opportune varianti commerciali, quella dei Petrini e dei Farinetti.
Intanto a Cuneo i montanari, stremati dalla fatica,
scendevano alla fabbrica altrui e i borghesi a Cuneo risparmiavano, in
silenzio, come in chiesa. Da questo risparmio è nata la moderna edilizia di
Cuneo e dintorni, prima, nel dopoguerra quella dell’arch. Albino Arnaud, e poi
quella del Marmorino e dell’arch. Umberto Fino.
Questo lo scrivo oggi perché lo vivo, ma prima, prima era
sempre stato così?
Cavour al Circolo l’Caprissi parlò ad un’altra Cuneo a quel
Piemonte che stava diventando Italia.
In
prima fila c’era Gioacchino Massia detto il “Cirio di Cuneo”. Era questo un
personaggio leggendario. La sua attività cominciata dal niente erasi rivolta
alla coltivazione dei bachi da seta ed alla trattazione dei bozzoli, avendo
anche perciò promosso l’esercizio di una reputata filanda alle Basse di
Sant’Anna, nonché all’esportazione della castagne, ch’egli seppe introdurre in
lontanissime piazze europee ed americane. Però si può dire che non siavi stato
ramo d’azienda commerciale relativa all’agricoltura, ch’Egli non abbia
coltivato, quasi sempre con felice successo. Così s’era Egli creata – colla
stima e colla simpatia pel modo serio e corretto di trattare gli affari – una
grande popolarità fra i contadini, fra i montanari accorrenti sulla nostra
grande piazza Vittorio, i quali parlavano di “Barba.rossa” con affettuosa
deferenza e ne consideravano la comparsa (senza la quale non si poteva aprire
il mercato) come quella di un amico più che d’uno speculatore, ben sapendo che
il Massia fosse sempre equo, ragionevole, nelle offerte, nelle proposte. [1]
C’erano anche i suoi due figli Giovanni e Vittorio Massia
che dopo la Sua improvvisa morte continuarono a fondare e gestire filande, a
spedire le castagne in America, a determinare il prezzo dei “coquet” (i
rocchetti naturali tessuti dai bachi da seta) presentandosi alle sei di ogni
venerdì mattina quando la bandiera che veniva esposta in p.zza Vittorio per
dare inizio al mercato, attendeva, per concordia generale, il loro
arrivo. Mi piace pensare questo alzabandiera dinanzi allo schieramento pacifico
dei cestoni pieni di bozzoli gialli, tanti e tanti da trasformare la grande
piazza in un campo giallo come il sole.
E oltre ai Massia vi era il geom. Antonio Sartoris, il più votato nelle ultime
elezioni, progettista della Cuneo liberty che si stava costruendo in Corso
Nizza, quello che aveva realizzato in soli 9 mesi, per conto della Cassa di
Risparmio di Cuneo e su suo progetto donato alla Società operaia, il Palazzo
delle Istituzioni Popolari, lungi dall’immaginare che negli anni ’30 potesse
divenire la Casa del Fascio. Vi era il geom. Amedeo Galliano quello che aveva
realizzato in Viale degli Angeli la palazzina con in cima la rotonda e i
paffuti angioletti sulla facciata. Vi era il sen. Tancredi Galimberti il
fondatore/editore del quotidiano di Cuneo, “la Sentinella delle Alpi”, ed il
suo direttore Nicolò Vineis, l’on.le Ministro Marcello Soleri, devoto amico di
Giovanni Giolitti.
Vi era il prof. Eugenio Delfino, primario dell’Ospedale civico S.Croce, allievo
del prof. A.Carle, successore nello stesso ospedale di suo padre dott. Pietro
Delfino, già vicesindaco della città, esempio del dovere di contribuire
all’amministrazione della città che allora la borghesia illuminata sentiva. A
tal proposito un borghese illuminato qual era l’avv. Dante Livio Bianco aveva
mandato un telegramma di partecipazione perché lontano.
Vi era il socialista dott. Serafino Arnaud, “il medico dei poveri”.
E vi erano anche le donne: la combattiva Angela Ascheri ved. Ramorino, la madre
dei fratelli garibaldini Paolo e Giuseppe Ramorino; la colta moglie del sen.
Tancredi Galimberti, la sig.ra Alice Schanzer, la sig.ra Tisbe Soleri moglie
del Ministro, ed anche la clericale sig.na Rita Massia.
Dinanzi a questo parterre della antica, nobile Cuneo, Cavour
parlò da buon politico barcamenandosi tra il bastone e la carota, ma le cose
belle che disse erano già nell’Italia che aveva dinanzi a sé: senza nulla
chiedere i cuneesi le avevano e le avrebbero fatte.
Quando finì tra scroscianti applausi, bevvero tutti il generoso barolo del
Conte e lui si appartò in una sala, a giocare a carte.
Tetto
de’ Chivalieri, settembre 2010
[1] Sentinella delle Alpi
di Cuneo (n. 6 martedì 9 gennaio 1906)
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