Dialogo fattuale in
cinque quadri in onore del conte Gianfranco Vialardi di Villanova nato a Torino
cento anni fa, composto da Antonio Sartoris in occasione della festa per i suoi
100 anni.
PERSONAGGI:
Lui: Gianfanco Vialardi di Villanova
Io: Antonio Sartoris
Lui: La mia età, la
mia vita/ ha pur mille futuri/ anche se non più avvenire./ I miei giorni/ siano
un dolce galleggiare/ nei ricordi.
Io: I tuoi ricordi sono in
compagnia dei nostri / l’avvenire sarà quel che vorremo.
1912 - 1932
Io: Il
conte Gianfranco Vialardi di Villanova abitava a Torino con la sua famiglia,
quando si sparse la voce che un giovane compositore toscano, Giacomo Puccini,
avrebbe rappresentato la prima della sua nuova opera, La Bohème, al Teatro
Regio. “Ma io lo conosco” disse Gianfranco ai suoi, “l’ho conosciuto a Londra,
quando sono andato a comprarmi le scarpe. Avremo certamente un palco”.
Infatti la sera del 1° Febbraio 1896 tutta la famiglia
Vialardi di Villanova era nel palco di proscenio del Teatro Regio quando il
M°Arturo Toscanini alzò la bacchetta sul primo atto de La Bohème. In verità
papà Vialardi come la maggior parte della buona società torinese, tutta
presente “avec decoration”, fu inizialmente disorientato. Un amico di famiglia,
critico musicale de La Stampa proclamò: “La Bohème non lascerà grande traccia
nella storia del nostro teatro lirico” e fece infuriare Gianfranco. “Ecco i
soliti barbogi. Non vogliono sentire novità! Dovrebbero andarsene all’inferno
prima dei 70 o al massimo 80 anni. Il ‘dopo’ non lo capiscono”. Così la pensano
i giovani. Non sanno che è la vecchiaia che dà la saggezza di capire tutto – il
vecchio ma anche il nuovo (spesso ripetizione del vecchio) - ed aumenta la
capacità di apprezzare i molti sapori della vita.
Aveva ragione lui: la Bohème fu
l’opera che consacrò definitivamente la fama internazionale di Puccini, e restò
cara a generazioni e generazioni di tutto il mondo e nel cuore di Gianfranco
ben oltre i 70 e gli 80 anni che egli allora immaginava come un lungo cammino.
Anche perché proprio insieme a Puccini, egli visse la sua bohème torinese.
Lui: “Ho traversato i giorni/ per giungere sino alla mia epigrafe./ Ho
attraversato la materia/ e lo stato basso delle cose.”
Io:
Andavano insieme a vedere Macario nell’avanspettacolo, quel tipico spettacolo teatrale
italiano che precedeva la proiezione di un film. “Vieni, vieni ti porto a
vedere delle gambe lunghissime” diceva Gianfranco a Giacomo e lo portava al Maffei,
al Chiabrera, all’Ideal. Ogni anno Macario presentava una nuova rivista
con sempre nuove fanciulle, tra cui attrici bellissime e brillanti (che
scritturava in sostituzione delle ballerine, nel tentativo di innovare il
genere). Dopo l’inarrivabile Wanda Osiris,
tra le tante attrici lanciate da Macario si ricordano Tina
De Mola, Olga
Villi, Isa
Barzizza, le sorelle
Nava (Pinuccia,
Diana, Lisetta e Tonini), Elena
Giusti, Lily
Granado, Marisa
Maresca, Lauretta Masiero, Dorian Gray, Flora
Lillo, Marisa Del Frate, Lucy D'Albert, Valeria Fabrizi,
Sandra Mondaini e Lea
Padovani. A
bearsene la vista, in prima fila c’era sempre lui, il conte Vialardi che poi
avvolto dal suo mantello nero, foderato di raso bianco, andava con il suo amico
Alberto Testa -toc toc- a bussare la porta del camerino.
1932 – 1952
Lui: “Invocavo la fine
del mese/ il mio mese: aprile./ ...Silloge inquieta/ mi proponeva un corteo
anabasico/ di avvenimenti, incontri,/ finzioni, confidenze, viaggi,/ che si
dilatavano a schiera,/ anastroficamente. Rivivevo così/ a segmenti la
successione spaziale della mia vita, proiettata come non mai/ su un lucente
schermo mentale...”
Io:
Sopravvisse durante la guerra e fu un
importante manager pubblico della Torino della Ricostruzione: “caposegreteria
dell’Assessorato al personale” sotto sindaci comunisti, Roveda e Negarville, e
democristiani, Peyron e Porcellana. E si salvò con i viaggi. Nel suo libro di
versi “A l’ombra di Polinnia” scrisse “Il
viaggio è una fuga dalla
ripetizione,/ la ricerca/ di nuovi miraggi: …Nel coabitare, a distanza, con le
prove inglobate/ avverti la pienezza/ del pondo e del vacuo;/ ti perseguita
l’ansia del dolore”. E lui ricorda Londra con l’invito a pranzo a
Buckingham Palace e poi “Laura e Valeria
e Leonora, bagliori/ violenti e
fugaci, sovrapponibili, rumorosi fantasmi”.
1952 – 1972
Lui: “Senza occhi mi fissa/ la maschera apotropaica/ senza denti mi
sorride:/ è un ghigno beffardo… Ho ricevuto (ma quali?)/ segnali che accendono/
il mistero./ Appena sarà libera/ e salva, la mia mente/ ne sarà prigioniera.”
Io:
Gliel’aveva presentato Jean Michailidis, il conservatore del museo
dell’Acropoli di Atene di cui era ospite: “piacere Heinrich Schliemann,
archeologo”. Ed ora erano al Pireo con il vino resinato degli achei a parlare
di Troia. Tutto il mondo sapeva della scoperta che il ricco commerciante
tedesco, fanatico di archeologia, aveva fatto del tesoro di Priamo (8.700
gioielli d’oro) per cui, quando lui gli disse che stava per partire per Micene
alla scoperta della tombe degli Atridi, dei resti di re Agamennone, disse
subito “vengo anch’io”.
Si trovò quindi quella sera quando, nel silenzio brunito
della "vallata d'Argo che nutre cavalli", a Micene "ricca d'oro" (come viene definita
generalmente nei poemi omerici) alla luce delle torce balenò il riflesso
dell’oro della maschera del gran re. Il conte non dimenticherà mai prima i
fuochi accesi sulle colline e poi la processione di fiaccole dei greci viventi
venuti ad onorare il loro grande passato, morto.
I ricordi, ah! I ricordi: dal letto napoleonico il conte
Vialardi volge gli occhi al comodino da notte ove luccica d’oro la copia del
boccale di Agamennone. Ricordi di cent’anni di compagnia colta ed io concludo: “É la cultura la miglior difesa dai guasti
della vecchiaia.”
1972 – 1992
Lui: “Oggi, avvolto da
fumi d’acqua/ in città ignota, staccato dagli amici,/ dalle eventualità
amorose/ sotto gli sguardi/ incuriositi/ degli estranei, riassumo le mie
crocifissioni: l’addio crudele di una supposta compagna,/ il subitaneo caparbio
viaggio/ per obliare,/ il gelo morboso/ della lontananza, l’impaccio della
nuova koinè. ...Comparve la persona sperata.”
Io:
A me cuneese verace, fantasioso, anzi fattuale piacque subito questo
vecchio signore, fermo nella sua bellissima casa come nel suo stile di vita e
non cercai né cerco oltre. Ma dai versi di lui, fra cui quelli dedicati a
“Geoffrey, figlio mio inglese”, e la presentazione che mi ha fatto, personale,
del nipote Stanislao e fotografica di S.A. la principessa di Hohenzollern,
sento promanare un’aura di tempi remoti con quel non so ché di classe e di
stile che fa l’autentico uomo nobile. Ed è perciò che la “persona sperata” che
ti sta sempre a fianco, che ti aiuta, che ti dà affetto e pazienza, che ti
sopporta, non può essere che Bruno, “il generoso”!
1992 – 2012
Io: Il Tuo peregrinare marino è
terminato a Cuneo, ma ora che non puoi più andare, io vedo quanta gente viene a
trovarTi. - L’altra sera ho visto
infilarsi nella tua portina di via Statuto, Eugenio Montale, il noto poeta. So
che l’avevi conosciuto a casa di Piero Gobetti, ma proprio adesso, alla soglia
dei Tuoi cent’anni, ha sentito il bisogno di rivederTi? Ti prego, conte
Vialardi, dimmi cosa hai detto a Montale.
Lui: “...Dell’esistenza i mesi ultimi saranno il vero naufragio/ e le pagine
oscure/ dell’inutilità, del vacuo,/ dell’arcano futuro./ Intuizioni
preagoniche?
Una mano di tepore/
e tenerezza/ poggia sulla mia spalla/a rincuorarmi/ e dalla amata voce/ escono
parole essenziali, taumaturgiche./ É la mia temporanea/ inattesa salvezza.
FINE
INTERPRETI:
Lui: Alberto Testa
Io: Antonio Sartoris
Detto in Casa Vialardi di Villanova in Cuneo, il 20
Aprile 2012
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