Gustav Mahler mi aveva scritto ringraziandomi per le
condoglianze che gli avevo porto dopo la morte a soli sette anni della sua
primogenita Maria Anna.
Il fatto era successo a Maiernigg, sul lago Wörthersee
nell’estate del 1907 e mi diceva che non sarebbe più voluto andarci: troppi ricordi…
Cercava un altro posto “…in montagna, ma mi raccomando
che ci sia il posto per la casetta”.
Questa delle Komponierthäuschen (casette per comporre) di Mahler è una bella
storia. Quando d’estate finalmente poteva allontanarsi da Vienna portava la
bella moglie Alma e le due figlie in casa d’affitto od in albergo, ma sempre in
un luogo ameno della felix Austria. Lui c’era, ma si appartava non lontano, in
una casetta di legno che si faceva costruire appositamente: dieci metri
quadrati con il pianoforte e una pila di carta da musica. Li voleva essere lasciato
tranquillo dagli estranei ed anche dalla famiglia e nel grembo dei ricordi
infantili e dei suoni della natura componeva le sue sinfonie.
Veramente anche
Mozart volle una sua casetta: la si può ancora vedere dalle finestre del
Mozarteum di Salisburgo. Chi non ha in fondo al cuore una casetta dei suoi
ricordi più belli?
Allora pensai di offrirgliene una
in una radura nei boschi delle nostre montagne.
E finalmente venne il grande
giorno. Mi aveva detto “Arriverò l’ultima settimana di luglio”, ma non mi aveva
detto il giorno per cui quando suonò il campanello ed andai ad aprire la porta
non credevo ai miei occhi nel vedermi davanti Gustav Mahler. Era proprio lui,
come lo descriveva Bruno Walter: “esile, basso, dalla fronte alta e dritta,
lunghi capelli neri ed occhi che penetrano a fondo, dietro gli occhiali”.
“Benvenuto. Venga avanti Maestro” -non sapevo cosa dire-
ma Lui mi tolse subito dall’imbarazzo:
“Ma sa amico mio
che arrivare a Cuneo è proprio complicato. Sono partito l’altro ieri da Vienna
dopo aver diretto il Tristano nell’ultima replica della stagione della Hofoper,
presente l’Imperatore. Ho fatto una tappa a Milano, dove ieri sera ho diretto
un concerto alla Scala, e poi ho viaggiato tutto oggi per arrivare da Lei e
sono le sei di sera”.
“Lo so, lo so” dico io, “siamo ai confini dell’impero
come dice un mio amico, impero soprattutto culturale, ma si troverà bene e la
casetta è pronta. Intanto andiamo all’albergo”.
Il giorno dopo
il Maestro era già tutto eccitato: in quel piccolo corpo c’era un’energia
incredibile, quella che gli avevo visto spendere senza limiti sui podi
direttoriali dei teatri di mezza Europa. Non per nulla le sue esecuzioni sia
operistiche che sinfoniche erano considerate innovative e inarrivabili.
Partimmo per la
Valle Maira e ci fermammo a Stroppo. “Venga Maestro voglio farle vedere una
cosa” e lo portai dinanzi al monumento di Alessandro Riberi, insigne clinico e
fondatore della Sanità militare. Mahler lesse:
“Quì
dond'ei partì povero ed ignorato
alla conquista
della fortuna e della gloria
il nome suo insegni
ai valligiani
che l'onesta
povertà è l'assillo migliore alle opere
dell'ingegno e
della mano
e desti in essi la
fede
che questa ignude
roccie
sanno esser madre
di ingegni
che hanno volo d'aquila”
“Anch’io sono nato povero il 7 luglio 1860 a Kalischt un
villaggio della Boemia (allora nell’Impero austro-ungarico)” commentò Mahler
“ed effettivamente mi sono dato da fare per emergere. Ho persino dovuto da ebreo
diventare cattolico per poter ottenere il posto di general director del Teatro
Imperiale e di Corte di Vienna. Ho le mie buone soddisfazioni a Vienna, invece
come compositore, per ora, volo basso, ma il mio tempo verrà”.
Ed andammo ad Elva. Giunti al
colle di Sampeyre, il Monviso ci apparve dinanzi maestoso e così vicino che
sembrava di poterlo toccare allungando il braccio.
Mahler era rimasto folgorato e incominciò a declamare i
versi di Klopstock su cui aveva scritto il finale della sua seconda sinfonia
“Resurrezione”:
“Risorgerai, oh sì, risorgerai o mia polvere mortale,
dopo un breve riposo… credimi, cuore mio, credimi nulla per te è perduto! …non
sei nato invano, non hai vissuto e sofferto invano! Risorgerai, sì
risorgerai”.
L’uomo non si è mai arreso alla
morte e per proprio conforto ha trovato due soluzioni. O credere in un aldilà
dove ottenere quell’eterna felicità che non è possibile ottenere in terra, o
credere di poter tornare dopo la partenza, magari sotto altre spoglie, ma
comunque, ed ad ogni costo, risorgere.
Mahler stette ad Elva quindici
giorni e lo lasciai solo con il pianoforte nella casetta che gli avevo
procurato e tanta pace, e sole e verde tutt’intorno. “Vita fugax…” mi ripeté
più volte quando gli raccomandavo di riposarsi “…con quel cuore malato”.
Quale musica avrà composto
non me lo ha detto salutandomi con la stretta di mano che ho avuto da Sua
figlia Anna, quando sono andata a trovarla a Spoleto. Ma io la Sua musica l’ho
conosciuta tutta, eseguita e registrata dai suoi grandi interpreti: Bruno
Walter, Leonard Bernstein, Claudio Abbado. Ho sentito lì dentro la verità di
quanto lui scriveva: “Le mie sinfonie trattano a fondo il contenuto di tutta la
mia vita: dentro vi ho messo esperienze e dolori, verità e fantasia…”. Nella
verità e fantasia della sua musica mi ritrovo a fianco di Gustav Mahler …risorto.
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