giovedì 23 giugno 2016

Istruzioni per l'uso del mio funerale


     Quando uno è morto non gli importa più nulla del suo funerale. Anzi, ringrazia perché, come dice Nietzsche, “la ricompensa finale dei morti è non morire più”. Ma un funerale serve ai vivi: a chi gli ha voluto bene per l’elaborazione del suo lutto, a chi vuol far parlare di se come amico del morto e magari trarne lustro e potere facendone la lode con il “io lo conoscevo bene” dei necrologi che nel numero e nella lunghezza sono lo specchio della potenza del morto. A proposito dei necrologi mi raccontavano che da quelli dei dirigenti Fiat si poteva ricavare il grado nella dirigenza della grande madre a seconda dell’ordine in cui era collocato il compianto del collega, ovviamente sul giornale di casa: La Stampa.
Nulla di tutto ciò al mio funerale: io non voglio essere usato dagli altri, specie nel momento in cui non posso più protestare, ma ancora una volta, come ho cercato di fare tante volte in vita, voglio essere strumento di conoscenza e di serenità. Per l’ultima volta “ragiono e canto” come il mio Ulisse di bronzo.
Il messaggio è già tutto qui: un funerale, la fine di una vita, fa ancora parte della vita stessa. Il morto non c’è più ma la vita continua nei suoi famigliari, negli amici, in coloro che l’hanno conosciuto, hanno capito quanto diceva, magari contestandolo ma in tal modo ragionando. Cosa vuol dire ragionare: viaggiare nella vita mettendo un pensiero dopo l’altro nei fatti e decidendo momento per momento le proprie azioni.
 Le azioni: qui può continuare la vita del defunto lasciando traccia delle proprie azioni. Io ho fatto una famiglia e nei figli e nipoti mi riconosco di aver ben fatto. Ho fatto l’avvocato = “chiamato” per più di cinquant’anni e –pur insufficiente e talora inadeguato– son orgoglioso di aver risposto a qualcuno.
Desidero essere sepolto in un giorno di sole: se il sole non ci sarà attenderò magari nel vestito di legno ove mi rinchiuderanno ma voglio che il mio funerale avvenga all’aperto e con il sole nell’aria di Cuneo.
Sarà una cerimonia laica nel grande spazio del “teatro al prato” di Villa Torre Acceglio della Fondazione Casa Delfino.
     In quello spazio dove ho organizzato tanti spettacoli voglio che il mio funerale sia uno spettacolo e per non complicare troppo le cose sia uno spettacolo di musica riprodotta.
Io come Glen Gould ho sempre creduto nella musica riprodotta di cui si conosce la qualità dell’esecuzione e si può adeguatamente curare la qualità della riproduzione.
Con la bara al centro della facciata della grande villa, che emana solidità e tempo, le musiche saranno la storia della mia vita nei tempi impostici dalla natura: giovinezza, maturità, vecchiaia, morte.
La giovinezza come primavera della vita, sarà espressa della voce giovanile (per es. quella della soprano Tiri The Kanawa) di un lied di Fernandos Obrados “Del cabelos mas sutil...” che dice: “Dei capelli più sottili/ che tu raccogli in trecce/ io farei una catena/ per tenerti vicina./ Una coppa, nella tua casa,/mio amore, io vorrei essere, per baciare le tue labbra/ ogni volta che tu bevi”.
     Tanta dolcezza inebriante ed è subito vino travolgente “in taberna quando sumus...”.
     La maturità è la vita pulsante dei ritmi dei “Carmina  Burana” di Carl Orff. Si arriva alla vecchiaia meditabondi, ma non tristi se -come me- bene accompagnati “in un tramonto rosato” da una moglie amorosa e da una bella famiglia. Allora, si sente Richard Strauss con la voce antica di Elisabeth Schwarzkopf cantare: “Attraverso pene e gioie noi abbiamo camminato, mano nella mano./ Ora tutti e due ci avviamo verso il paese del silenzio./ Intorno a noi le montagne impallidiscono, il cielo si oscura./ Solitarie due allodole si alzano e cantano nell’aria profumata./ Vieni, lascia il lavoro./ Presto sarà l’ora di dormire. Vieni e cerchiamo di non separarci in questa solitudine./ O calma incommensurabile della sera che si spegne nel rosato del tramonto./Come siamo stanchi di camminare.  Forse è tutto ciò, la morte?”.
     Essa viene ultima, ma fatale: ed è anche l’ultima mia istruzione. Sulla struggente melodia di un corale dell’oratorio Paulus di F.Mendelssohn, ai famigliari, amici e conoscenti è come dicessi loro: “Sorridetemi! come io vi avrei sorriso fino alla fine. Amate sempre la vita e cercate senza posa i suoi valori. Vi amo e vi sorrido da dove io sia!”[1]
P.S. Hanno già assicurato la loro presenza al mio funerale Immanuel Kant filosofo, Gustav Mahler musicista, Norberto Bobbio maestro ed altri cari amici della mia vita intellettuale.



 


[1] Queste sarebbero state le ultime parole del filosofo francese Jacques Derrida secondo quanto riferito dalla moglie. Perché cercarne altre se ben esprimono il significato di questo racconto: “la morte come momento di vita”?

Nessun commento:

Posta un commento