Quando uno è morto non gli importa più nulla del suo
funerale. Anzi, ringrazia perché, come dice Nietzsche, “la ricompensa finale
dei morti è non morire più”. Ma un funerale serve ai vivi: a chi gli ha voluto
bene per l’elaborazione del suo lutto, a chi vuol far parlare di se come amico
del morto e magari trarne lustro e potere facendone la lode con il “io lo
conoscevo bene” dei necrologi che nel numero e nella lunghezza sono lo specchio
della potenza del morto. A proposito dei necrologi mi raccontavano che da
quelli dei dirigenti Fiat si poteva ricavare il grado nella dirigenza della
grande madre a seconda dell’ordine in cui era collocato il compianto del
collega, ovviamente sul giornale di casa: La Stampa.
Nulla di tutto ciò al mio
funerale: io non voglio essere usato dagli altri, specie nel momento in cui non
posso più protestare, ma ancora una volta, come ho cercato di fare tante volte
in vita, voglio essere strumento di conoscenza e di serenità. Per l’ultima
volta “ragiono e canto” come il mio Ulisse di bronzo.
Il messaggio è già tutto qui: un
funerale, la fine di una vita, fa ancora parte della vita stessa. Il morto non
c’è più ma la vita continua nei suoi famigliari, negli amici, in coloro che
l’hanno conosciuto, hanno capito quanto diceva, magari contestandolo ma in tal
modo ragionando. Cosa vuol dire ragionare: viaggiare nella vita mettendo un
pensiero dopo l’altro nei fatti e decidendo momento per momento le proprie
azioni.
Le azioni: qui può continuare la vita del
defunto lasciando traccia delle proprie azioni. Io ho fatto una famiglia e nei
figli e nipoti mi riconosco di aver ben fatto. Ho fatto l’avvocato = “chiamato”
per più di cinquant’anni e –pur insufficiente e talora inadeguato– son orgoglioso
di aver risposto a qualcuno.
Desidero
essere sepolto in un giorno di sole: se il sole non ci sarà attenderò magari
nel vestito di legno ove mi rinchiuderanno ma voglio che il mio funerale
avvenga all’aperto e con il sole nell’aria di Cuneo.
Sarà una cerimonia laica nel
grande spazio del “teatro al prato” di Villa Torre Acceglio della Fondazione Casa
Delfino.
In
quello spazio dove ho organizzato tanti spettacoli voglio che il mio funerale
sia uno spettacolo e per non complicare troppo le cose sia uno spettacolo di
musica riprodotta.
Io come Glen Gould ho sempre
creduto nella musica riprodotta di cui si conosce la qualità dell’esecuzione e
si può adeguatamente curare la qualità della riproduzione.
Con la bara al centro della
facciata della grande villa, che emana solidità e tempo, le musiche saranno la
storia della mia vita nei tempi impostici dalla natura: giovinezza, maturità,
vecchiaia, morte.
La giovinezza come primavera
della vita, sarà espressa della voce giovanile (per es. quella della soprano
Tiri The Kanawa) di un lied di Fernandos Obrados “Del cabelos mas sutil...” che dice: “Dei capelli più sottili/ che tu
raccogli in trecce/ io farei una catena/ per tenerti vicina./ Una coppa, nella
tua casa,/mio amore, io vorrei essere, per baciare le tue labbra/ ogni volta
che tu bevi”.
Tanta dolcezza inebriante ed è subito vino travolgente “in
taberna quando sumus...”.
La
maturità è la vita pulsante dei ritmi dei “Carmina Burana” di Carl Orff. Si arriva alla
vecchiaia meditabondi, ma non tristi se -come me- bene accompagnati “in un
tramonto rosato” da una moglie amorosa e da una bella famiglia. Allora, si
sente Richard Strauss con la voce antica di Elisabeth Schwarzkopf cantare: “Attraverso pene e gioie noi abbiamo
camminato, mano nella mano./ Ora tutti e due ci avviamo verso il paese del
silenzio./ Intorno a noi le montagne impallidiscono, il cielo si oscura./
Solitarie due allodole si alzano e cantano nell’aria profumata./ Vieni, lascia
il lavoro./ Presto sarà l’ora di dormire. Vieni e cerchiamo di non separarci in
questa solitudine./ O calma incommensurabile della sera che si spegne nel
rosato del tramonto./Come siamo stanchi di camminare. Forse è tutto ciò, la morte?”.
Essa
viene ultima, ma fatale: ed è anche l’ultima mia istruzione. Sulla struggente
melodia di un corale dell’oratorio Paulus di F.Mendelssohn, ai famigliari,
amici e conoscenti è come dicessi loro: “Sorridetemi!
come io vi avrei sorriso fino alla fine. Amate sempre la vita e cercate senza
posa i suoi valori. Vi amo e vi sorrido da dove io sia!”[1]
P.S.
Hanno già assicurato la loro presenza al mio funerale Immanuel Kant filosofo,
Gustav Mahler musicista, Norberto Bobbio maestro ed
altri cari amici della mia vita intellettuale.
[1] Queste sarebbero state le ultime parole del
filosofo francese Jacques Derrida secondo quanto riferito dalla moglie. Perché
cercarne altre se ben esprimono il significato di questo racconto: “la morte
come momento di vita”?
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