In memoria di mio
nonno geom. Antonio Sartoris
La SOCIETÀ come dice l’art.2 del Regolamento approvato il
29 Maggio 1851 è composta “essenzialmente
di Operai, i quali sono tutti cittadini prestanti la loro opera giornaliera ad
un esercente professione, arte o mestiere, si come gli esercenti professione,
arte o mestiere in qualità di capi, purché non siano in grado di dar lavoro a
più di cinque persone consecutivamente, e non paghino censo o taglia annua
eccedente le lire otto. I soli operai sono membri effettivi della società,
hanno voto deliberativo nelle adunanze sociali, e possono far parte della
Direzione”.
Ma la casa non c’era ancora. Come
“Palazzo delle istituzioni popolari” era un antico sogno del Municipio e fu
realizzato dalla Cassa di Risparmio di Cuneo su progetto donato dal quarantaduenne
geom. Antonio Sartoris[1] che, sempre gratuitamente,
diresse i lavori di esecuzione con straordinaria celerità, in soli nove mesi. E
lì ebbe sede insieme all’Istituto delle Cucine Economiche, fino all’esproprio
fascista del 1927, la ormai consolidata “Società Artisti ed Operai di Cuneo”.
Per l’inaugurazione ci fu grande
discussione. Dal dott. Serafino Arnaud[2] (il medico dei poveri),
socialista, era stato proposto l’intervento addirittura di Carlo Marx[3]: “troppe spese non ci possiamo
permettere di farlo venire da Londra” rispose l’assemblea dei soci. “Facciamo
venire Garibaldi” propose l’avv. Nicolò Vineis[4], il direttore de “La Sentinella
delle Alpi”: “l’eroe nazionale che ha riunito l’Italia”. “Ma è un mangiapreti:
lo sapete cosa ha scritto alla Società operaia di Asti? ve lo leggo,” disse Don
Stoppa il direttore del settimanale cattolico “Lo Stendardo”: “Apprezzo assai l’onore conferitomi da
cotesta società ad acclamarmi suo socio. Le società operaie molto hanno giovato
all’Italia, moltissimo devono giovare per l’avvenire; il lavoro è virtù; il
lavoro è libertà; benedetti coloro che lavorano! Mi rincresce che la mia salute
non mi permetta di trovarmi in mezzo a voi per l’inaugurazione del monumento a
Vittorio Alfieri. Siate superbi di un si grande concittadino. Ricordate che
egli ha insegnato agli italiani: Di non fidare sugli stranieri quando si tratti
della salute della patria. Essere il pontificato il maggior nemico d’Italia.
Potere solo la libertà fare grande e florido un popolo G.GARIBALDI” .
Va bene così: decise a
maggioranza l’Assemblea degli operai, e Garibaldi venne all’inaugurazione e
parlò:
Cari amici,
non sono nato alle pubbliche assemblee; ma se v’è radunanza alla
quale ami trovarmi, è quella degli operai. In mezzo a questi semplici cuori, io
mi sento in famiglia. Quando i vostri rappresentanti si sono presentati a me
nella solitudine della mia Caprera per offrirmi un cenno di simpatia a nome del
ceto robusto e laborioso del popolo di Cuneo, evento più grato al mio cuore non
poteva aspettarmi, perch’io conto sempre sull’incallita destra degli uomini
della mia condizione, per la redenzione sacrosanta di questa terra, e non sulle
fallaci promesse dei raggiratori politici. Se volete un mio consiglio,
eccovelo: lasciate le vane questioni di parole; ma pensate che l’uomo non si
dimezza, e che tutti, senza eccezione, abbiamo gli stessi doveri verso di noi,
verso la Patria e verso l’Umanità. Siamo tutti operai della giustizia. Ma
sappiatelo, essa non trionfa se l’uomo non è libero, in terra libera. Lavoro,
patria, libertà: ecco il programma vostro, operai, e di tutti gli uomini che
non credono, creato il mondo, per satollare la loro ingordigia e la loro
ambizione.
La Vostra società operaia come tutte le tante società che mi hanno
chiesto di divenirne membro onorario, hanno come scopo primario quello di
soccorrere i soci infermi o bisognosi. Per soccorrersi reciprocamente e d’un
modo efficace conviene avere i mezzi. Di più del mutuo soccorso le società
operaie devono occuparsi di politica, cioè procurare col tempo di avere un buon
governo.
Qualche giorno fa ho dovuto rivolgermi ai vostri compagni operai di
Napoli. Ho dovuto riconoscere che pur avendo coscienza di non aver fatto male a
liberare quelle contrade con il programma Italia e Vittorio Emanuele non
rifarei oggi la via dell’Italia meridionale temendo di esservi preso a sassate
da popoli che mi tengono complice della disprezzevole genia che
disgraziatamente regge l’Italia e che semina l’odio e lo squallore dove noi
avevamo gettato le fondamenta di un avvenire italiano sognato dai buoni di
tutte le generazioni, e miracolosamente iniziato. Ma tuttavia alla depressione
è giocoforza apporre l’educazione, perché è l’educazione che scioglierà il gran
problema che si agita nel nostro secolo, l’emancipazione. Essa, l’educazione,
ai prepotenti della terra, in coccola o senza, dirà col Giusti: “Cessi il
mercato reo, cessi la frode”. E sì in politica come in religione volendo
davvero il popolo la mercé, l’educazione, che è il frutto dell’associazione,
cesseranno una volta per sempre l’uno e l’altra dal martoriare l’Umanità, la
quale camminerà tranquilla verso la sua meta di perfezionamento progressivo,
morale e materiale a cui è destinata.
Ed ora prima di stringervi con affetto l’incallita destra, un invito
che mi sta molto a cuore.
Ho letto nelle Vostre carte statutarie che lo spirito dei fondatori
della Vostra società operaia può sintetizzarsi in queste poche significative
righe “in qualunque luogo si raduna il popolo per soccorrersi a vicenda con
amor fraterno, dovunque egli conviene per perfezionarsi trattando dei suoi
interessi e dell’avvenire dei suoi figli, ivi regna la legge di amore e domina
lo spirito del Vangelo”.
Condivido pienamente questi principi perché Cristo gettò le basi
dell’uguaglianza tra gli uomini e tra i popoli e noi dobbiamo essere buoni
cristiani. Ma noi faremmo un sacrilegio se durassimo nella religione dei preti
di Roma: essi sono la sciagura d’Italia e specie tutti del più feroce dei
nostri nemici, a cui solamente dobbiamo la nostra miseria, ma la nostra
umiliazione e la condizione del nostro popolo…
Non lo lasciarono finire. Un
boato si sollevò dal lato destro dell’assemblea: là Don Stoppa aveva raccolto i
suoi “fedeli”. Profondendosi in scuse all’insigne ospite, peraltro per nulla
turbato, il Consiglio direttivo della Società gli consegnò l’obolo di 20 lire
(sic!) da destinare “ai fratelli siciliani che con inauditi sacrifici e sforzi
combattono i loro oppressori onde ricuperare anch’essi l’indipendenza”.
Naturalmente la polemica continuò
nei giorni successivi tanto che si volle impedire l’ingresso all’inevitabile
messa in Cattedrale del labaro della Società, quello della fondazione del 1851
che, per i benpensanti, odorava chiaramente di massoneria.
E così continuò, la vita “politica”
della Società degli Artisti ed Operai, con l’inevitabile propensione dei
cuneesi (e degli italiani in genere) al compromesso. Scrive Alessandra
Demichelis[5] “In
realtà la pretesa apoliticità fu più apparente che reale. I rapporti stretti
con abilità diplomatica con le autorità municipali e religiose, le vere e
proprie battaglie in favore dei diritti delle classi lavoratrici, il sostegno
esplicito e continuato ai deputati locali al Parlamento, sono la dimostrazione
di come la Società non potesse e non volesse estraniarsi a rimanere passiva di
fronte ad eventi e problemi che toccavano gli interessi dei ceti più deboli”.
Tutto però con la prudenza
tipicamente cuneese e che mi piace riconoscere nella sottile ironia del
“Galucio caparucio” del poeta Nino Costa[6]:
“An sla punta del cioché/ j’è un galucio,/ caparucio,/ fait ed tola
piturà:/ tuta quanta la giornà/ chiel a gira,/ chiel as vira/ da la part che’l
vent a tira/… Col galucio fait ed tola/ l’è pa tant na bestia fòla:/ chiel a
sà/ che a lé sempre bin piassà/ col ch’as vira/ da la part che ‘l vent a tira,/
e, guardand da so ciochè,/ chiel a ved sel marciapé/ tanta gent , pien-a ‘da
babìa,/ ch’a jé smija,/ che veul nen ch’a sia dla dita/ ma ‘nt la vita/ -gira
‘d sa, gira dlà– l’ha l’istessa teoria/ del galucio piturà.”[7]
Alla Società Artisti ed Operai di
Cuneo, variopinto spaccato della vita cittadina, vada, in occasione del 160°
anniversario di fondazione, il mio augurio di nostalgico progressista:
EXCELSIOR.
[1] Geom. Antonio Sartoris (1863 †1939)
diplomato all’Istituto Bonelli, si possono ricordare -fra le molte- le seguenti
opere: il progetto per il riordinamento ed il riattamento del pianterreno e
secondo piano dell’Ospedale vecchio di Santa Croce di Cuneo; l’edificazione
della palazzina Girardi (o Caserma dei Reali Carabinieri 1899 oggi in c.so IV novembre
di Cuneo); l’ingrandimento e la nuova facciata della parrocchiale di Salmour
(1902-1905-07), la ridecorazione dei prospetti esterni del palazzo marchionale
di Centallo (1909-10). A Cuneo il Sartoris si occupa della ristrutturazione e
della sopraelevazione del Palazzo Fresia (1903), della costruzione di casa
Feltrami (1904), del palazzo per Cucine Economiche e Società Artisti ed Operai
di Cuneo (1905); della demolita palazzina Ghio (1913), del palazzo Forze
Idrauliche “altro Po” (1924), del progetto di Tettoia nel cortile e del
terrazzo superiore del Cinema Moderno, poi Corso (1925), del progetto
dell’interno del demolito Cinema Italia, dell’edificazione del Palazzo Beltrami
di c.so Nizza 5/7/11 (1925), del Palazzo “Casa Nostra” di c.so Nizza 36, del
Palazzo sociale di c.so Nizza 14, di Casa Ricchiardi (1901) in c.so Soleri 3.
Il geom. Antonio Sartoris partecipò pure alla vita politica cuneese: fece parte
della Giunta comunale presieduta dal Sindaco Luigi Moschetti nel 1907, e nel
1912 nelle elezioni generali che portarono la lista democratica all’elezione a
Sindaco dell’avv. Marcello Soleri (futuro Ministro del Tesoro del Dopoguerra
1945) risultò il candidato più votato (1.101 preferenze) contro le 975 di
Soleri.
[2] Serafino Arnaud (1875 †1922) medico e
psichiatra insigne, del popolo amico vero e benefattore.
[3] Karl Marx (Treviri 1818 †Londra 1883)
Scrisse nel 1848 in collaborazione con l’amico Engels il “Manifesto del partito
comunista”.
[4] Nicolò Vineis (Asti 1819 †Cuneo 1890) per 37
anni direttore de “La Sentinella delle Alpi” quotidiano redatto e stampato in
Cuneo presso la tipografia di Bartolomeo Galimberti, della famiglia dell’eroe
nazionale Duccio.
[5] Alessandra Demichelis “Società Artisti ed
Operai – Cuneo 1851-2001” Edizioni Aut Aut – Cuneo pag.116.
[6] Nino Costa poeta piemontese (Torino 1886 †1945)
[7] Trad.: “sulla punta del campanile/ c’è un
galletto/ con la cresta/ fatto di latta dipinta: durante tutta la giornata/ lui
gira di qua/ gira di là/ dalla parte che soffia il vento./… Qual galletto fatto
di latta/ non è poi mica una bestia stupida:/ lui sa che è sempre ben piazzato/
chi si gira dalla parte che il vento tira,/ e, guardando dall’alto del suo
campanile/ lui vede sul marciapiede/ tanta gente, piena di prosopopea/ che fa
come lui/ che non vuol che sia detto/ ma che nella vita/ -gira di qua, gira di
là– ha lo stesso comportamento del galletto dipinto”.
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